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sabato 29 marzo 2014

Lab di cucina... l'ora del tè



Alquanto ardita l’impresa di ricreare la Cerimonia del tè nel laboratorio di riabilitazione del nostro reparto.
Ci siamo quindi limitati a fare un’approfondita ricerca sul tema prima di assaporare una gustosa crostata d’arance hand made accompagnata ad una fumante tazza di una delle bevande più conosciute ed apprezzate al mondo.
Non poteva essere più illuminante per noi ciò che abbiamo scoperto essere alla base della nota tradizione giapponese: oltre ad un’attenzione minuziosa ai dettagli di ogni gesto che richiama costantemente la presenza mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, tutto ruota intorno alla volontà di vivere un momento nel qui e ora in maniera consapevole e senza alcun tipo di preoccupazione o attaccamento alla mondanità.
Il monaco buddhista zen Sen no Rikyū è universalmente considerato il codificatore ultimo della Cerimonia del tè che si fonda su quattro principi basilari:
l’armonia che porta ad affrancarsi da ogni pretesa e da ogni estremismo, per riuscire ad incamminarsi lungo la via della moderazione;
il rispetto ovvero il pieno riconoscimento dell’altro;
la purezza che consente di preparare lo spazio ad accogliere l’idea della bellezza;
la tranquillità che richiama al concetto di una serenità duratura in se stessi in compagnia degli altri.


Beh, che dire… questo breve viaggio nelle lontane tradizioni orientali ha dato tutto un altro significato e spessore alla nostra ora del tè!


martedì 25 marzo 2014

Riparte il laboratorio di Orto Terapia!!

E quest'anno alla parte pratica abbiamo unito anche la parte teorica!
In attesa della nuova fioritura sui terrazzi, vi invitiamo a seguirci nelle nostre ricerche all'interno del mondo delle piante, tra germinazione, germogliazione e le altre fasi di crescita...








martedì 11 marzo 2014

La fisicità degli affetti

Ci sono passaggi di un libro che conosco a memoria, che ho impressi nel cuore.
Cuore non è una parola che uso alla leggera. Il mio cuore è debole e poco affidabile. Quando me ne andrò sarà per via del cuore. Cerco di affaticarlo il meno possibile. Se sento arrivare un colpo, faccio in modo di dirottarlo altrove. Verso l’intestino, per esempio, o verso i polmoni, che potrebbero anche arrestarsi per un istante ma che finora non si sono mai rifiutati di tirare un altro respiro. Quando passo davanti a uno specchio e vi scorgo la mia immagine, o quando sono alla fermata dell’autobus e qualche ragazzaccio mi sorprende alle spalle, queste piccole illuminazioni quotidiane le incasso nel fegato, per così dire. Altri colpi li dirigo in luoghi diversi. Il pancreas lo riservo a tutto ciò che è andato perduto. E’ molto, lo so, per un organo tanto piccolo. E però. Sareste sorpresi di scoprire quanto può incassare; sento un breve doloretto, molto acuto, e poi passa tutto. A volte immagino la mia autopsia. Delusione di me stesso: rene destro. Delusione degli altri nei miei confronti: rene sinistro. Fallimenti personali: visceri. Non vorrei dare l’impressione di averne fatto una scienza. Non è tutto così ben congegnato. Lo prendo come viene. Solo che faccio caso a certe regolarità. Quando gli orologi sono indietro e l’oscurità cala prima che io sia pronto, questo – per un motivo che non so spiegare – lo sento nei polsi. E quando mi sveglio e ho le dita rigide, quasi certamente ho sognato la mia infanzia. La rigidità alle dita è il sogno dell’infanzia così come mi viene restituita alla fine della mia vita. Devo tenerle sotto l’acqua calda del rubinetto, mentre il vapore appanna lo specchio, e fuori sento i piccioni che frusciano. Ieri ho visto un uomo che dava un calcio a un cane e l’ho sentito dentro gli occhi. Non so dire bene dove, è un posto che sta prima delle lacrime. Il dolore di dimenticare: la spina dorsale. Il dolore di ricordare: la spina dorsale. Tutte le volte che, all’improvviso, torno a rendermi conto che i miei genitori sono morti – persino ora – mi stupisco di esistere in questo mondo mentre chi mi ha creato non c’è più: mi piglia le ginocchia, ci vuole un mezzo tubo di pomata e uno sforzo enorme per piegarle. A ogni cosa la sua stagione, e per ogni volta che mi sono svegliato facendo l’errore di credere per un istante qualcuno accanto a me, penso: solitudine. E non c’è organo che possa sopportarla.

Queste parole sono di Nicole Krauss, in uno dei suoi romanzi più belli, illuminato da una prosa di grande calore e delicatezza, tenerezza, fascino, originalità.
Dalla lettura di questo breve passo, ha preso vita la nostra riflessione sulle immagini corporee. Che posto prendono nel nostro corpo le emozioni che viviamo, gli affetti, i vissuti più intimi?

Abbiamo indagato…


Sin da piccolo, un abbraccio, un bacio, una carezza, mi davano sempre i brividi sulla pelle. Il pianto e la sofferenza risiedono nel dolore al mio stomaco. Lo sguardo di una persona, sia che mi piacesse oppure no, mi ha dato sempre il tremore.
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Il pianto che non so piangere mi blocca il respiro e mi prende una fitta allo stomaco. I ricordi tristi della mia vita risiedono nelle pulsazioni del cuore che aumentano e in certi momenti mi sembra di correre dietro alla mia vita, senza che io voglia realmente ricordare, soltanto... sono spinta dal presente a farlo. Il dolore delle perdite, degli abbandoni mi preme sugli occhi, che nonostante tutto restano asciutti e mi sembra che escano dalle orbite. La gioia di una bella giornata di sole, del sorriso di un bimbo, lo spuntare di un fiore, mi prende tutto il corpo e sento che mi rilasso, le ossa smettono di farmi male e finalmente posso dichiarare di essere felice.
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Gli amori difficili o improbabili e controversi li sento nel cuore: si gonfia. Una vita passata per un certo tempo in solitudine l'ho avvertita in tutto il corpo, che si è fatta spugna di ogni molecola presente nell'aria. Le frustrazioni prolungate hanno la forma delle coltellate e sento che se non si esce in tempo da certe situazioni si può rimanere schiacciati e ci si può ammalare.
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Aver subito delle violenze quando ero piccola mi fa provare tanti sentimenti. Rivedere per caso quelle persone mi ha preso allo stomaco e alla testa. La mia tristezza è molto dolorosa, come se mi stessero mettendo chiodi e spade addosso. Lo sento al fegato forse. E ai polsi. Le cose positive invece le sento fortissimo nelle gambe.
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Le cattiverie di certe parole o le mortificazioni le sento nelle spalle, e io divento piccola piccola. Le emozioni positive invece stanno in tutto il corpo come un'iniezione di forma. La rabbia mi prende il ventre ovunque e mi viene voglia di dar pugni.. Il ricordo che ho della mia infanzia sta nel naso: l'odore della cucina, l'odore di tutte le cose nuove che incontravo per strada. Il benessere invece sta nelle orecchie: è la musica che sento e che riesco a volte ad ascoltare intorno a me.
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Il sentirmi poco amata o trattata male da chi mi stava accanto prende la forma di tanti pugni sulla bocca, poi sento che inizio a tremare come una foglia. Quando entro dalla porta di casa e mio fratello corre verso di me sento che la bocca si distende e un sorriso mi piena la faccia con un immenso calore alle guance. Quando capita che io possa vedere mio figlio, allora lì è tutto il corpo che si riempie di felicità, ogni organo che posso sentire di avere è invaso da questa bella sensazione. Il cuore pulsa fortissimo nel sentire mio figlio addosso e le mani sudano felicità.



Quando penso alle emozioni penso al freddo nelle ossa, quando penso all'amicizia ho una stretta alla bocca dello stomaco. Quando sono felice sento un vuoto nel cuore, manca un battito. Quando tremo e mi si stringe la gola ho paura. Il mio corpo risponde ad ogni emozione, ma non ogni emozione risponde al mio corpo. L'angoscia risiede nel petto. Nei polmoni l'ansia. Le umiliazioni le affronto con occhi aperti. Le lacrime le cancellano. La mia forza risiede nelle mie spalle, così come i miei peccati, per questo sono un po' curve, troppo peso. Il dolore più grande risiede nello stomaco, nei polmoni, è così grande da contaminare in parte tutto, ma il cuore non lo tocca più nulla. Non può sopportare altro.
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Le immagini dei dolori subiti si incanalano nel petto. L'angoscia mi porta ad urlare. Gioia e dolori si infiltrano nella pelle, nel cuore, nel cervello, provocano tremori. La gioia la esprime il viso e a volte gli occhi brillano. Una volta avevo una gran quantità di dolori, adesso sono urla che riescono a farli sparire per un po'. E' una lotta di tutto il corpo contro il dolore, mentre l'immaginazione riesce in me ad evocare le cose care.
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Mi guardo allo specchio e vedo me stessa ma non mi riconosco, la mia immagine scompare e il battito del mio cuore rallenta. Il mio cuore è malato adesso, ha bisogno di un defibrillatore che rimetta a posto il battito. Il dolore mi fa entrare acqua nei polmoni ed è lì che devo mettere in moto il mio cervello per capire che il mio corpo è vivo. Vivo perché se prima il mio stomaco era pieno ma mi sentivo vuota, ora è vuoto e mi sento piena. La vita che scorre nelle vene del mio corpo mi fa comprendere che niente è perduto: vado avanti e combatto. Ora sento che i miei muscoli stanno acquistando forza. Quella forza che mi fa urlare, correre, amare tutto il mio corpo e la mia mente. Ora il mio fegato non duole più per le scorrettezze della mia vita. Tutto sta tornando al suo posto. Fegato, cuore, polmoni e stomaco sono nutriti in modo sano, sono consapevoli che la mia testa gli stia dando le giuste indicazioni per vivere di pancia. Ora le mie emozioni vengono fuori dall'ugola. Sono viva e fino a che il mio corpo avrà quel respiro d'amore e di onestà verso me stessa sarò slava dai mali della vita. Sono come un feto nel grembo di una madre, pronta per rinascere come la mia pancia fece in passato dando alla luce due vite indispensabili al mio di mondo. Ora sono grata a me stessa!






mercoledì 5 marzo 2014

Contaminazioni

Il nostro percorso si è ultimamente incrociato con la ricerca artistica di un degente di un altro reparto del San Raffaele Montecompatri.
I suoi quadri e la sua storia ci avevano incuriositi. Si tratta di un uomo molto riservato e restìo al contatto con gli altri. Avvicinarlo non è stato semplice, ma in qualche modo di ciamo riusciti.
E' iniziato così un 'dialogo' a distanza tra lui e noi: ci ha messo a disposizione alcune copie del catalogo delle sue opere pittoriche da cui poi abbiamo preso spunto per la realizzazione di immagini e scritti che gli abbiamo con orgoglio restituito. 
Una riflessione che ha consentito da una parte di abbassare un muro di isolamento che lo ha tenuto fino ad oggi escuso dallo sguardo degli altri sui suoi pensieri e il suo universo, dall'altra di arricchirci umanamente di contenuti per noi nuovi e sconosciuti.